Introdotto presso la bottega del celebre pittore Simone Pignoni grazie all’intercessione del marchese Riccardi, all’inizio dell’ultimo decennio del Seicento, Francesco Conti potè entrare in contatto, in tale occasione, con l’arte anche di altri artisti che collaboravano nella gestione dello studio e nella realizzazione delle opere commissionate all’ormai anziano maestro.
Tra questi, ruolo fondamentale nella formazione del giovane pittore dovette svolgerla lo zio Giovanni Camillo Ciabilli, eletto Accademico del Disegno nel 1699, il cui linguaggio artistico fece da mediatore allo stile del Pignoni.
Personaggio di netevole caratura intellettuale ed attento in prima persona alle arti figurative, il marchese Francesco Riccardi portò il Conti diciottenne con sè a Roma nel novembre 1699, dove ebbe l’occasione sia di vedere i più grandi capolavori della città (in particolare entrò in contatto con l’arte di Raffaello e dei Carracci) sia di partecipare ad una vera e propria scuola presieduta da Giovanni Maria Morandi e dal celebre Carlo Maratta.
In questo periodo, fondamentale per la formazione del nostro, è lo studio del disegno e delle statue antiche, unitamente ad un’incessante pratica del disegno dal naturale, tanto che la sua presenza è documentata presso l’Accademia di San Luca e l’Accademia di Francia.
Fu in questo contesto che iniziò la sua attività di pittore, soprattutto presso diversi cardinali ed importanti nobili famiglie romane, quali gli Albani. In tali anni avviò anche la sua carriera d’insegnante, inizialmente come maestro d’arte per la figlia del marchese Cosimo Riccardi mentre dal 1706 sarà impeganto con la carica di “Maestro della Pubblica Scuola del Disegno”.
Nel 1705 ritornò a Firenze, in una città il cui panorama culturale risultava vivacemente animato dalle scelte artistiche del Gran Principe Ferdinando, fautore di numerose commissioni ad artisti: i veneti Sebastiano e Marco Ricci, i genovesi Alessandro Magnasco e Antonio Francesco Peruzzini, l’emiliano Giuseppe Maria Crespi, la cui arte apportò spunti innovativi a quella degli autori locali.
Francesco Conti continuò ad essere il pittore della famiglia Riccardi, come indicano i periodici pagamenti di materiali di lavoro ed importanti commissioni, quali una Pietà per il palazzo nobiliare, annotati nei registri e i tre soffitti del casino di Gualfonda.
Queste ultime in particolare sono una chiara espressione della pittura del Conti, caratterizzata da panneggi rigidi e spigolosi, ambientazioni scarne e piuttosto tetre, anatomie ben tornite ma poco rigide e scoordinate. La fase giovanile è infatti caratterizzata dalla realizzazione di dipinti che presentano chiari ricordi di un altro celebre artista del Cinquecento fiorentino come Andrea del Sarto, che dovette certamente studiare a fondo. Il secondo decennio del Settecento porta con sè delle novità stilistiche: maggiore serenità e abbandono dei severi accenti romani neo-cinquecenteschi a favore di una certa spigliatezza e serenità cromatica d’impronta veneta: del 1715 è l’Adorazione dei Magi per le Monache del Monastero Nuovo, opera caposaldo nel corpus di Francesco Conti, che abbandona definitivamente gli accenti tetri del periodo giovanile, addolcendo gli sguardi e i volti dei personaggi e arricchendo la pennellata, ad imitazione della maniera di Sebastiano Ricci.
Tangenze con l’arte veneta si ravvisano, inoltre, nella resa raffinata e materica degli abiti, nella leggerezza della pennellata e nel contrasto tra la luce aranciata e l’azzurro intenso dello sfondo. Una standardizzazione idealizzata è oramai avvenuta nei volti, che assumono a quest’altezza cronologica le fattezze tipiche impiegate dal Conti.
Durante il quarto decennio del Settecento vedono la luce le sue massime realizzazioni, che gli valgono la decorazione dello Spron d’oro, da parte di papa Clemente XII. E’ in questi anni che realizza importanti opere accomunate da una qualità pittorica da raffinatezze tecniche e cromatiche notevoli.
Si tratta di dipinti contraddistinti da una gamma cromatica preziosa, molto accesa e contrastata, fatta risaltare dalla luce sul fondo scuro o con effetti eterei, in linea con la migliore pittura europea di quegli anni. A tal proposito possono ricordarsi la Santa Caterina d’Alessandria in gloria del Museo Civico di Prato o il Ritorno dalla fuga in Egitto al Cleveland Museum of Art.